Il piano regolatore del 1873 che cambiò per sempre Roma

Dei molti confini di Roma, nella storia. quello della sia identità fra paese e città è segnato dai lavori del piano regolatore del 1873.

Gli anni successivi alla proclamazione di Roma a Capitale d’Italia furono drammatici per la città.
La febbricitante eccitazione per gli avvenimenti e il conseguente desiderio di grandezza portò al piano regolatore del 1873 che segnò una delle capitolazioni storiche di Roma, forse la più insonora, la più mascherata dalla grandezza ma sicuramente una delle più significative a segnare non solo la scomparsa di parte di una irrinunciabile città storica ma anche la stupidità dei suoi autori, affrettati, irrazionali, irragionevoli ed insensibili a molteplici fattori che da sempre contraddistinguevano proprio quell’anima di città che si apprestavano a cancellare.

Non si trattava soltanto di cancellare per sempre monumenti, palazzi, opere d’arte ma anche storie, vite, ricordi che erano la ricchezza di un popolo ancora fiero della città che viveva.

I lavori sul lungotevere

Uno dei primissimi esempi fu a ridosso dell’approvazione, nel 1875, del progetto Canevari per la sistemazione delle sponde del fiume Tevere fra Ponte Milvio, scendendo da Nord poco sotto Corsi di Francia, fino al Porto di Ripa Grande, nella zona di Porta Portese. Fu durante questo periodo che la casa della Farnesina, una delle più antiche case romane ritrovate, ricca di pitture e stucchi, non fu neanche disseppellita completamente, fu portato via rapidamente quanto si poteva portar via e subito demolita per far spazio ai muraglioni del Tevere.

Quale fretta? Quale ragione spinge a evitare così radicalmente di considerare il recupero di tesori  che il mondo da sempre ci invidia?

I quartieri che fagocitano le campagne romane delle ville patrizie e la scomparsa della stratificazione architettonica romana.

Così il piano regolatore del 1873, nel giro di trenta anni portò alla demolizione di centinaia di case ed edifici per far spazio a più ampie vie di comunicazione. Tale necessità sorgeva anche in relazione ai circa 200.000 migranti arrivati a Roma in quel periodo. Intorno ai Rioni di Roma nacquero così gli orribili quartieri che erano destinati ad ospitare case ed uffici e le cui tristi e anonime palazzine da quattro o cinque piani si sostituirono alle ville Patrizie che avevamo per secoli adornato i colli e i prati di Roma.
Una delle zone che maggiormente soffrì la perdita del verde fu Roma nord e nord-est, zona che dovette assistere alla perdita ad esempio di Villa Ludovisi.
Il centro soffrì invece la perdita di una stratificazione di opere architettoniche che avevano trovato il modo di coesistere e sovrapporsi nel corso della millenaria storia di Roma. Vennero persi per sempre, ad esempio, gli ultimi tratti delle mura “Serviane” risalenti agli eroici tempi della Repubblica o il Porto di Ripetta, opera magnifica dell’arte settecentesca.

A confermarci la mancanza di intelligenza tipicamente italiana, prolungatasi per secoli, e che va incredibilmente a braccetto con la nostra stessa capacità di creare opere eterne (Roma ne è la prova di entrambe le definizioni) sono stati, in quel periodo, i tentativi di protesta al grande terremoto edilizio del piano regolatore da parte degli stranieri: architetti, artisti e studiosi si sono susseguiti alle porte delle amministrazioni romane tentando di convincere Roma a porre fine allo scempio. Le proteste venivano sempre respinte adducendo la giustificazione della necessità data dal progresso.

Emblematico è stato il caso della devastazione operata a beneficio della preparazione dell’area adibita a sede del monumento a Vittorio Emanuele. Più volte fu sottolineato dalla commissione archeologica comunale il disastro che avrebbe significato costruire tale monumento, di tali dimensioni, così a ridosso del Campidoglio. Fu così, infatti, ceh fra le perdite più importanti sottolineiamo il convento dell’Aracaeli e la torre rinascimentale di Papa Paolo III. La torre era in realtà il Palazzo di Aracoeli, costruito nel XVI secolo dall’architetto Iacolo Meleghino ma veniva appellata Rocca Paolina o Torre Paolina.

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